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Hadewijch: i paradossi dell’Amore

«Volevo sempre sapere, in ciò che facevo, pensavo e mi domandavo senza sosta: Che cos’è l’Amore e Chi è l’Amore?» (1)

È la domanda esistenziale per eccellenza. Prima di sapere come è nato il mondo, se c’è vita su Marte, di fantasticare sul Big Bang dovremmo confrontarci con l’assurdità di un Amore presente ma invisibile, sollecito ma misterioso. Sembriamo più attratti dalle curiosità astronomiche che dalle ragioni della nostra vocazione.  L’inquietudine narrata anche da Agostino rimane senza soluzione se non ri-conosciamo l’Amore. Possiamo distrarci dall'interrogativo ma non estirparlo o accantonarlo per tempi lunghi. Per Hadewijch(*) il senso della vita consiste proprio nella ricerca di questo Amore. Un criterio di discernimento senza età capace di porsi come provvidenziale segno di contraddizione in questa fase storica di banalizzazione esistenziale e di manipolazione delle coscienze.

«Coloro che, nati dall'amore, e scelti per condividere la sua essenza, non trascurano nessun mezzo per riuscire a raggiungerlo, questi vivono in un sacro tormento» (2).
«Le pene d’amore sono più numerose delle stelle del cielo» (3).
«Non appena abbiamo la pretesa di sentire Dio invece di permettere a Dio di farsi sentire, subito la via dell’esperienza si muta in un vicolo cieco» (4)

La ricerca non è propriamente una gita della domenica. Coinvolge totalmente, non è un’attività da dopolavoro. Cercare l’Amore nella propria vita significa ritrovarsi da soli, oppure in compagnia di pietre d’inciampo, nell'insicurezza. Cercando l’Amore ci si perde secondo le logiche del mondo. Cercando l’Amore si soffre per la consolazione perduta, non ricevuta, perché si cammina per fare la sua volontà e sembrano prevalere gli ostacoli. Occorre prepararsi alla debolezza, a sperare senza sentire le forze necessarie. E occorre rinunciare a qualsiasi pianificazione e a vedere risultati, a sentirsi inutili senza desistere dall'impegno. Eppure nulla è più umano di questa ricerca dell’Amore.

«Se infine la sorte mi lasciasse guarire,
lei che mi ha tormentato fin qui con il suo odio,
potrei essere ancora tutta per l’amore,
e la mia pena porterebbe allora il suo frutto.
Nelle sue acque profonde e terribili,
leggerei i suoi verdetti, mi ci abbandonerei tutta,
il mio amore senza riserve accoglierebbe l’Amore.
Della mia natura, sulla vetta,
la fame senza dubbio si placherebbe.
Ma quanto siamo lenti a soddisfarla,
davanti all'amore restiamo come stranieri.
Qui la nostra miseria. Ah, sappiatelo:
chi può contemplarlo senza viltà,
guadagna il suo regno con tutti i suoi tesori» (5).

Avvertiamo l’Amore dentro di noi ma non lo vediamo nel mondo. Avvertiamo l’Amore dentro di noi ma sperimentiamo la nostra incapacità nel realizzarlo. Non siamo fedeli alla nostra stessa essenza, prevalgono condizionamenti e deformazioni. Solo l’umiltà della richiesta di perdono che spalanca la porta della grazia può guarirci.


(*) Hadewijch di Anversa, prima metà del XIII secolo, beghina

(1) Hadewijch, citazione in Dieudonné Dufrasne, Donne moderne del Medioevo, Il movimento delle beghine: Hadewijch di Anversa, Mectilde di Magdeburgo, Margherita Porete, trad.Davide Riserbato, Jaca Book, Milano 2009, p.92
(2) Hadewijch, citazione in Dieudonné Dufrasne, Donne moderne del Medioevo, Il movimento delle beghine: Hadewijch di Anversa, Mectilde di Magdeburgo, Margherita Porete, trad.Davide Riserbato, Jaca Book, Milano 2009, p.90
(3) Hadewijch, citazione in Bernard McGinn, Storia della mistica cristiana in Occidente, La fioritura della mistica (1200-1350), trad. Marco Rizzi, Marietti, Genova-Milano 2008, p. 329
(4) Hadewijch, citazione in Dieudonné Dufrasne, Donne moderne del Medioevo, Il movimento delle beghine: Hadewijch di Anversa, Mectilde di Magdeburgo, Margherita Porete, trad.Davide Riserbato, Jaca Book, Milano 2009, p.101
(5) Hadewijch, citazione in Dieudonné Dufrasne, Donne moderne del Medioevo, Il movimento delle beghine: Hadewijch di Anversa, Mectilde di Magdeburgo, Margherita Porete, trad.Davide Riserbato, Jaca Book, Milano 2009, p.90