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La salvezza nella condivisione

La sofferenza sgretola le nostre (false) sicurezze ricordandoci provvidenzialmente la condizione di precarietà esistenziale. Smaschera la finzione dell’autosufficienza ed evidenzia i limiti della ricerca razionale e scientifica. È un qualcosa, insieme alla morte, che tentiamo di allontanare, rimuovere, esorcizzare più o meno scaramanticamente. La sofferenza fa paura, eppure ci rivela la verità su noi stessi. Dovremmo coglierne il senso più che impegnarci a combatterla (tra l’altro inutilmente). E non tanto per ricercane i motivi che rimangono imperscrutabili quanto per scoprirne i risvolti redentivi. Dio stesso non l’ha evitata scegliendo di rivelarsi e salvarci nella condivisione della nostra condizione e non nell'Onnipotenza delle sue prerogative (1). Non si è sottratto con il potere o con la forza al “destino” dell’uomo, anzi, si è sottomesso in particolare a quello dell’uomo considerato maledetto dall'opinione pubblica. Ha scelto di condividere le angosce della pecorella smarrita, del figliol prodigo, dell’uomo spogliato e percosso dai briganti. Manifestandoci l’Amore più grande, che consiste appunto nella scelta solidale, ha spezzato l’identificazione tra sofferenza e colpa. Dopo l’agonia di Gesù nel Getsemani, chi soffre non è più colpevole né castigato. Dopo il Calvario e il suo grido sulla croce, chi è lontano, incompreso, disprezzato non è più colpevole né castigato. Al contrario, in lui e per mezzo di lui può agire sempre la salvezza di Dio. Di conseguenza, la sequela di Cristo consiste specificatamente nel condividere la condizione dei sofferenti, non nell'organizzazione ed erogazione di servizi. Con le elargizioni, senza condivisione ed amicizia, si costruisce l’assistenza sociale. Mentre con la condivisione e l’amicizia, insieme alle elargizioni, si costruisce il Regno di Dio. Infatti come si può pretendere di testimoniare il Dio solidale, fino al disprezzo e alla morte, preferendo potenti e benestanti invece degli ultimi?

(1) «Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato». (Isaia 53, 3-4)